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Cara Barbara Palombelli, noi meridionali abbiamo sempre lavorato.

Cara Barbara Palombelli, noi meridionali abbiamo sempre lavorato.

Il 90% dei morti è nelle regioni del nord. Cosa può esserci di diverso? Persone più ligie, che vanno tutte a lavorare?”,

cara Barbara Palombelli sicuramente la sua è stata, semplicemente, una frase infelice ma ne approfittiamo per ricordare a tutti  alcune cose.

Noi meridionali abbiamo sempre lavorato.

Ricordiamo a tutti che un meridionale comincia a lavorare prima di entrare nel mondo del lavoro.

Già durante l’ultimo anno di liceo deve sapere cosa fare, dove andare, si perché per noi è normale e, da sempre, trasferirsi per studiare all’Università.

A poco più di 18 anni ci ritroviamo da soli, senza la nostra famiglia, senza i nostri amici più cari, senza le nostre piccole certezze di tutti gli adolescenti.

Perdiamo gli amici di sempre, che poi rincorreremo per tutta la vita. Ci lasciamo a 17/18 anni e poi ci inseguiamo e ci perdiamo per ritrovarci in un abbraccio infinito in rari momenti, se ci verranno concessi dal caso o dalla vita.

Dobbiamo lavorare su di noi, sul nostro equilibrio psicologico e dobbiamo imparare in fretta a cucinare, fare la spesa, gestire una casa con persone che spesso non conosciamo.

Dobbiamo imparare in fretta i termini di un contratto di locazione o di sublocazione per non essere sfruttati e per farci rispettare.

Dobbiamo mantenere i ritmi dell’Università e spesso dobbiamo anche lavorare per mantenerci.

Dobbiamo cambiare alimentazione e conoscere i ritmi delle città in cui “approdiamo” per non sembrare ridicoli.

Perché sa, ovunque andiamo veniamo additati come “il/la calabrese, siciliano, napoletano” e l’appellativo non equivale sempre ad un complimento.

Spesso incontriamo diffidenza e ci viene detto, appunto, che da noi non si lavora.

Forse non si lavora perché non abbiamo la possibilità di lavorare nella nostra terra?

Eppure se si va in giro per il mondo, ci troverà anche in ruoli di prestigio, proprio perché lavoriamo.

Ci è stato anche detto che non abbiamo le infrastrutture perché non servono ed infatti ci dobbiamo muovere su strade fatiscenti, su ponti instabili, su ferrovie dove l’alta velocità è una chimera.

Eppure ci muoviamo proprio perché dobbiamo lavorare, con una fatica superiore a quella degli altri perché i nostri viaggi sono, spesso, viaggi della speranza.

Ed anche in questo caso lavoriamo più degli altri: noi dobbiamo calcolare orario/strada/vari mezzi per poter raggiungere le nostre destinazioni con costi in termini economici e di tempo maggiori.

Da Roma a Milano ci vogliono poche ore e si arriva riposati per poter lavorare, da Roma a Crotone ci vogliono 8/9 ore e si arriva sfiniti ma si deve lavorare lo stesso.

Abbiamo accettato tutto questo da sempre e ci sembra normale, abbiamo sviluppato rassegnazione ma forse è solo impotenza.

Forse è una situazione voluta, perché la famosa Questione Meridionale non è mai stata affrontata.

Non abbiamo strade, ferrovie, Ospedali.

Oggi, in piena emergenza Coronavirus, siamo terrorizzati ed anche ora non parliamo perché nessuno ci ascolterebbe, perché i morti si contano solo in altre parti e se moriamo noi, abbiamo la certezza che non si dirà con lo stesso clamore.

Le raccolte fondi sono per il Nord ma da noi mancano mascherine e guanti, abbiamo pochi posti in terapia intensiva ed abbiamo pochi medici ma, soprattutto, abbiamo poche strutture sanitarie.

Ora siamo terrorizzati ma non si parla del nostro terrore ed anzi veniamo incolpati perché siamo rientrati nei nostri territori per infettare gli altri.

Come se tutti lo avessero voluto, come se non fosse inevitabile rientrare a casa magari anche per paura di restare senza i soldi per pagare l’affitto.

E, comunque, molti di noi sono rimasti lontani e siamo in pena per i nostri cari.

E’ di oggi la notizia che “La situazione dell’ospedale di Crotone non era florida neanche prima che scoppiasse la pandemia. Se su 1.600 dipendenti ne mancano 300 e buona parte sono infermieri in servizio in ospedale, il rischio è di un collasso: “In questo momento, – spiega il direttore generale dell’Asp – con il nuovo reparto Covid quelle degli infermieri e degli oss sono le figure di cui abbiamo bisogno. Sulla carenza storica si è inserita l’emergenza. Grazie alla gestione integrata dei vari reparti, per quanto riguarda i medici stiamo tenendo bene. Quello che ci sta dando da penare è l’assenza di infermieri e oss”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/21/coronavirus-su-1-600-dipendenti-dellazienda-sanitaria-di-crotone-300-sono-in-malattia-direttore-generale-una-pericolosa-anomalia/5744287/

Una notizia del genere, potrebbe dare ragione a lei ma va letta unitamente alla carenza cronica di personale, al senso di abbandono da parte dello Stato, alla paura per dover affrontare qualcosa è al di là di ogni possibilità do reale gestione.

In questi termini, il personale sta lanciando un disperato grido di aiuto e di soccorso che lo Stato non può e non deve lasciare inascoltato.

Cara Barbara, le chiediamo di dare voce a questo nostro grido silenzioso di dolore profondo e di aiutarci a sensibilizzare quel Governo che finora è stato assente, sulle esigenze di territori dimenticati, come quello di Crotone dove se l’Ospedale dovesse affrontare l’emergenza Coronovirus, sappiamo già che sarà una strage.

Avv. Maria Capozza

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