Il diritto non può ignorare la realtà antropologica
Le recenti sentenze n. 68 e 69/2025 della Corte costituzionale riaprono un tema delicatissimo e di grande attualità: la genitorialità fondata sull’intenzionalità anziché sulla realtà biologica e relazionale.
Riferimenti normativi e contesto giuridico
La disciplina italiana in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA) è regolata principalmente dalla Legge n. 40/2004, che limita l’accesso alle tecniche di PMA e tutela il diritto del nascituro a conoscere le proprie origini biologiche. In particolare, l’art. 5 della legge vieta la fecondazione eterologa, mentre l’art. 4 tutela il diritto del nascituro a essere riconosciuto da entrambi i genitori.
Le sentenze n. 68 e 69/2025 della Corte costituzionale intervengono su due aspetti cruciali:
La sentenza n. 68/2025 riconosce lo status genitoriale alla cosiddetta “madre intenzionale”, ossia alla donna che ha espresso la volontà di assumere il ruolo genitoriale anche in assenza di un legame biologico diretto, valorizzando il principio dell’interesse superiore del minore e la tutela della sua stabilità affettiva e familiare. Questo orientamento si fonda sull’art. 2 (diritto alla personalità) e sull’art. 30 della Costituzione (tutela della famiglia), nonché sul principio di best interest of the child, ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale.
La sentenza n. 69/2025, invece, conferma il divieto per la donna sola di accedere alla PMA in Italia, motivando tale esclusione con il principio di precauzione e la tutela dell’interesse del minore a crescere in un contesto familiare che preveda la presenza di entrambi i genitori, come sancito dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. La Corte sottolinea come la genitorialità non possa essere ridotta a mera volontà individuale, ma debba considerare la realtà antropologica e sociale della persona.
Analisi critica delle decisioni
Se da un lato la Consulta riconosce alla “madre intenzionale” lo status genitoriale automatico, tutelando formalmente il minore, dall’altro nega alla donna sola l’accesso alla PMA in Italia, ritenendo legittimo escludere il padre dal progetto procreativo sulla base del principio di precauzione. Due decisioni solo apparentemente coerenti, che rischiano di aprire la porta a un diritto “emotivo”, slegato dalla realtà antropologica della persona.
Credo fortemente nel diritto del bambino ad avere un padre e una madre. Credo che ogni norma debba poggiare su un fondamento etico e non piegarsi a mode culturali o pressioni ideologiche. Il desiderio di genitorialità non può prevalere sull’interesse del minore a conoscere e relazionarsi con entrambe le sue radici: materna e paterna.
Nessuna tecnica riproduttiva potrà mai cancellare il bisogno umano di identità, di verità, di legami reali. Il diritto deve proteggere i più fragili, non legittimare la loro riduzione a “prodotto” di un progetto.
Difendere la famiglia naturale non significa discriminare, ma custodire l’umanità.
La giustizia non è tale se dimentica la natura dell’uomo.
Avv. Maria Pia Capozza