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Nullità del matrimonio e nozione di incapacità di intendere e volere

Nullità del matrimonio e nozione di incapacità di intendere e volere

La Corte di Cassazione riconosce che la lunga durata della convivenza tra i coniugi, superiore a tre anni, non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del “matrimonio atto”.

Secondo la Corte, tali vizi non violano i principi fondamentali dell’ordinamento pubblico italiano, che comprende i principi costituzionali e legislativi.

La sentenza di nullità può essere delibata dal sistema giuridico italiano in caso di difetto di discrezione di giudizio e/o incapacità di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio a causa di problemi mentali, come stabilito dal canone 1095 n. 2 e 3 CIC.

Questi motivi di nullità matrimoniale canonica riguardano il consenso e sono assimilabili ai motivi di nullità del matrimonio civile previsti dagli articoli 120 e 122 del codice civile italiano, che prevedono l’incapacità naturale e il vizio del consenso a causa di errore o violenza.

Queste cause di nullità non possono essere sanate dalla semplice continuazione della convivenza prima della scoperta del vizio.

Si fa una distinzione tra il “matrimonio atto”, che può essere oggetto di nullità sia civile che canonica, indipendentemente dalla durata della convivenza coniugale, e il “matrimonio rapporto”, che deve essere preservato.

Qui di seguito le massime della Corte di Cassazione inerenti alla questione.

Matrimonio – Nullità – Incapacità di intendere e di volere – Deficit psichico – Sussistenza – Totale privazione delle facoltà intellettive o volitive – Esclusione.

L’art, 120 c.c. prevede che il matrimonio può essere impugnato per l’incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell’impegno assunto. La disposizione dà rilievo all’incapacità di intendere o di volere di un soggetto, ossia ad un deficit psichico: sebbene non occorra la totale privazione delle facoltà intellettive o volitive, è, tuttavia, necessario che esse siano grandemente menomate, a tal punto da impedire in ogni caso la formazione di una volontà cosciente. Occorre, quindi, che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versi in uno stato patologico – da intendere come alterazione del normale stato fisiologico – che, pur non tale da eliminare in modo totale e assoluto le facoltà psichiche, su di esse comunque incida in un modo decisivo, quindi superiore rispetto alla ordinaria situazione dovuta, ad esempio, alla mera “immaturità o fragilità affettiva”, riconducibile all’essere il soggetto, volta a volta, semplicemente “giovane” o, magari, “anziano”.

Matrimonio – Nullità – Incapacità di intendere e di volere – Patologia mentale a carattere permanente – Sussistenza della incapacità – Fattispecie.

L’intervenuto accertamento di una patologia mentale a carattere permanente (come, nella specie, l’Alzheimer), tale da determinare, sia pure transitoriamente, l’offuscamento delle facoltà cognitive e volitiva del soggetto comporta la insorgenza di una presunzione iuris tantum di incapacità ex  art, 120 c.c., con conseguente nullità del matrimonio concluso dall’incapace. (Nella specie, ha osservato la Suprema corte, correttamente il giudice del merito ha tratto dalla notoria ingravescenza del morbo dell’Alzheimer un elemento presuntivo della capacità di intendere e di volere della parte che, unito a numerosi altri elementi, ha consentito alla Corte territoriale di escludere che fosse stato dimostrato che l’atto matrimoniale fu posto in essere in una fase di lucido intervallo della malattia, pervenendo a una tale conclusione sulla base non su una impropria inversione dell’onere della prova ma di una complessiva ed esauriente valutazione degli elementi fattuali e probatori emergenti nel processo, non efficacemente contrastata dalla parte ricorrente sul piano probatorio).

Famiglia – Matrimonio – Nullità – Per incapacità di intendere e di volere – In genere incapacità naturale – Nozione – Pregiudizio dell’incapace e vantaggio, dolo o malafede dell’altro coniuge – Necessità – Esclusione – Fondamento.
Il matrimonio può essere impugnato, ai sensi dell’art, 120 c.c., per la mera incapacità di intendere e di volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di far comprendere il significato e le conseguenze dell’impegno assunto, senza che abbia rilievo il pregiudizio dell’incapace o il vantaggio dell’altro contraente, né il dolo o la malafede di quest’ultimo, poiché la nullità del matrimonio è prevista a tutela dell’integrità del consenso dei coniugi, che l’ordinamento vuole formato in piena libertà e consapevolezza.

Delibazione – Sentenze ecclesiastiche – Nullità del matrimonio concordatario – Difetto di consenso – Vizio psichico – Giudice ecclesiastico.
In tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità di matrimonio concordatario per difetto di consenso, la condizioni di vizio psichico, assunta dal giudice ecclesiastico come comportante inettitudine del soggetto a contrarre il matrimonio, pur non essendo del tutto coincidente, non si discosta sostanzialmente dall’ipotesi di incapacità di intendere e di volere contemplata dall’art, 120 c.c.

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