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La libertà religiosa è un diritto inviolabile, anche ai tempi del Coronavirus

La libertà religiosa è un diritto inviolabile, anche ai tempi del Coronavirus

Il Premier ha firmato un nuovo DPCM del 26 aprile 2020 nel quale ribadisce la sospensione di ogni attività religiosa e rinvia l’apertura dei luoghi di culto a quando saranno individuate ed adottate misure organizzative.

Conferma, inoltre, la sospensione delle cerimonie religiose, ad eccezione delle cerimonie funebri che sono consentite a determinate condizioni.

Immediata la reazione della CEI che con  un Comunicato Stampa il 26 aprile 2020  ha sottolineato:

Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia.

I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale

Il tema centrale è la libertà religiosa, quale “diritto inviolabile tutelato al massimo grado dalla Costituzione” (secondo il principio consolidato della Corte Costituzionale, riaffermato nella sentenza del 7 marzo 2017).

In Italia vige il  principio di laicità, che è da intendersi, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 63 del 2016, n. 508 del 2000, n. 329 del 1997, n. 440 del 1995, n. 203 del 1989), non come indifferenza dello Stato di fronte alla religione, bensì come tutela del pluralismo ed a sostegno della massima espansione della libertà di tutti.

L’art. 19 della Costituzione Italiana afferma che: «tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

Il diritto è tutelato sia sotto il profilo individuale che collettivo.

L’unico limite esplicito è rappresentato dal divieto di riti contrari al buon costume.

Oltre a tale limite esplicito sussiste sempre un limite implicito, che è connaturato a tutti i diritti: la necessità di tutelare altri diritti o interessi aventi rilevanza costituzionale.

In tempo di Coronavirus il diritto primario da tutelare è quello alla salute.

Purtuttavia, la libertà religiosa comprende e comporta la libertà di culto e postula la pretesa di una prestazione negativa da parte dello Stato, che è tenuto ad astenersi da quegli atti che possano impedirne il libero esercizio. Libertà fondamentale che, quindi, comprende il diritto di partecipare e svolgere le cerimonie religiose.

Nonostante ciò il DPCM del 26 aprile 2020 considera tali cerimonie meno importanti di altre attività o iniziative alle quali si è dato o si darà il via libera.

Ho raccolto le dichiarazioni di p. Gaetano Saracino – sacerdote da sempre molto attivo ed attento ai bisogni dei fedeli – che si pone e ci pone degli interrogativi:

“Almeno per come abbiamo appreso le cose fino ad ora, il mio pensiero è che non è primariamente una questione teologica ma una questione di diritto e pratica. I cristiani sanno che esiste la tribolazione, di qualunque genere. E la vivono non senza dolore, al pari di ogni essere umano, ma nella fede cercano un senso.

Nel diritto non mi avventuro, ma so che questo è dettato da un organo eletto e un comitato tecnico scientifico è un organo nominato e non eletto. Probabilmente in questa fase prevale su una politica che ‘arranca’ nel fare sintesi, e questo lascia perplessi.

In pratica pare che non si siano limitati a dare un parere ma a vincolarlo, viste le continue citazioni fatte alle loro conclusioni. Conclusioni che devono avere evidentemente una base scientifica e nello specifico sembra che la scienza ignori il senso di responsabilità e collaborativo, usque mortem, da sempre esercitato dalla Chiesa dinanzi alle necessità ed alle tragedie. Anche questa.

L’obbedienza dei giorni scorsi e l’essersi data da fare ‘diversamente’ sono stati sforzi di partecipazione al bene comune evidentemente ignorati. Sforzi e partecipazione che non si spengono certo in questa fase così cruciale e delicata e anche per i tempi a venire.

Pertanto la correlazione cerimonie religiose–contagio non ha basi scientifiche, soprattutto se non è chiaro il concetto di assembramento: sono diverse settimane che alcuni sagrati di chiese sono invasi da persone in fila per un pasto o per ritirare un pacco viveri. Sono anche 200 persone ed è evidente il rischio di assembramento.

Nessuno, e meno male, pare sia intervenuto a disperdere o ad impedire questa opera necessaria (alle persone ma anche ad una istituzione pubblica che la delega volentieri)

Sullo stesso sagrato, invece, una benedizione di un feretro ‘di passaggio’ nel carro funebre un po’ prolungata, pare costituisca un problema.

Cos’è assembramento e cosa non lo è non è molto chiaro.

Così come ad oggi non è ancora chiaro quando si può entrare in una chiesa, anche fuori da ogni cerimonia: solo se questa è di strada per andare dal fruttivendolo ? Non così per un museo, esplicitamente previsto in apertura dal 18 maggio. Per chi ? Ma questo è un altro paio di maniche. Ce lo dirà il comitato scientifico.

E di contraddizioni del genere ce ne sono molte.

Dio non fa mai cose contrarie alla ragione ma ne promuove l’esercizio; non fa mai cose irrazionali ma sostiene la saggezza”.

Non resta che ribadire che il diritto di culto è un corollario del diritto alla libertà religiosa e che i cattolici hanno tutto il diritto di richiederne il rispetto e la tutela “Perché la vera celebrazione è in chiesa, con la comunità e l’ostia consacrata. La TV, i social vanno bene, ma non sono veri sacramenti. E invece noi cristiani abbiamo accettato di essere considerati meno importanti dei tabaccai” roma corriere

Avv. Maria Capozza

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